Quando la fotografia diventa il racconto di una vita
Giorgio Vasta «La Repubblica» 28-07-2013
Leggendo un libro ci si può ritrovare a individuare una sua somiglianza con oggetti fisici diversi. Alcuni somigliano a rastrelli, altri a grandi cassettiere, altri ancora a cucchiai. Scorgerne - o pretendere di scorgerne - struttura e funzione oggettuale può servire a comprenderne meglio il senso. Ufficio proiezioni luminose di Matteo Terzaghi (Quodlibet) somiglia a una macchina fotografica. Non semplicemente perché attraverso una serie di frammenti riflessivi, spesso accompagnati da piccole immagini, la fotografia è la scaturigine della scrittura; soprattutto perché questo libro sembra una macchina fotografica a pozzetto, una di quelle scatole nerissime (a fronte del bianco prepotente della copertina) che avendo il mirino collocato in alto inducono il corpo a un movimento in avanti, a quel chinarsi del capo su qualcosa (o qualcuno) che è la postura dell'affetto e dell' attenzione. Se la fotografia è istante in tensione, aprendosi e chiudendosi "come una forbice" il diaframma della macchina ritaglia lo spazio e reseca il tempo: «ritarda di alcuni minuti il distacco da un oggetto, un luogo o una persona con cui intratteniamo un certo legame affettivo ma che probabilmente non rivedremo più» (di una foto, dunque, dovremmo osservare - e temere- la dimensione minore: il taglio, la lama).
Nel libro di Terzaghi le fotografie sono, in senso joyciano, epifanie. Andare a ritirare le foto della propria bambina e trovarsi per errore tra le mani il volto di una donna anziana che indossa una mascherina innesca uno scompaginamento temporale, l'irruzione improvvisa della caducità senile nel tempo dei figli. Dalle foto di montagna si deduce invece che fotografare è doloroso. Giunto il vetta il nonno dell' autore aveva infatti bisogno di due scatti: il primo lo realizzava lui, per il secondo domandava a qualcuno di sostituirlo dietro il mirino in modo da prendere posto tra gli amici (così manifestando una tenerissima nostalgia dell' inclusione). Tra immagini di Hugo Ball in maschera cubista al Cabaret Voltaire, pulcini sperimentali, l'intuizione che le foto della morte di Clay Ragazzoni e di Robert Walser sono una il negativo dell' altra e la scoperta del "vero" finale dell' Avventura di un fotografo di Calvino, il libro di Terzaghi chiarisce due cose: la fotografia- l'insieme delle azioni concrete che la determinano - è un punto di vista sul mondo, un metodo per connettere percezione, tecnologia e pensiero (un chinarsi del capo affettuoso e attento); che ogni individuo è un proiettore naturale. L' "ufficio" - da intendere sia come luogo sia come compito - "proiezioni luminose" siamo noi.
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